Sono colline, qui più che altrove, che imprigionano la vita del mare.
Vigliano stupisce e affascina con quell’andare avanti e indietro di balene, capodogli, delfinidi del Mare Padano che sbucano dalla terra, si fanno scoprire in tutta la loro grandezza e poi partono a conquistare un posto in prima fila nei musei.
Dico Vigliano, ma dovrei dire Valmontasca, la frazione dove tutto è sempre successo: ritrovamenti eccezionali che nel Novecento appassionarono gli esperti e che, nel tempo, hanno finito per modellare radici identitarie uniche nella comunità di questo paese, un posto speciale dove balene e delfini non solo li trovano, ma se li costruiscono anche. Non per produrre falsi, ma per risarcirsi del fatto che i grandi cetacei, una volta scoperti, sono stati portati via: e dunque, più che altro, per riempire l’assenza.
Vigliano, poi, da speciale diventa specialissimo quando scopro Riccardo Varaldi, centenario dal viso sereno e dalla mente chiara, che da bambino (era il 1929) vide il possente scheletro del capodoglio emergere da vigne corrose dalla fillossera: la stessa enorme ossatura che da regione Cappellino di Valmontasca viaggiò alla volta del Museo geopaleontologico universitario di Torino e da lì, novant’anni più tardi, al Museo Paleontologico di Asti, dove da due anni compone il ricco ventaglio degli esemplari non ancora esposti al pubblico. E mentre Varaldi mi accompagna nelle giornate autunnali del 1929, in questa estate del 2021, a poca distanza da qui, il costruttore di cetacei Aldo Alciati, nel suo solito riservato operare, è intento a plasmare la sua ultima incantevole creazione.
Davvero un paese che non s’immagina, Vigliano.