Quello che negli anni Quaranta del Novecento sbucò dalla terra, a Pino d’Asti, Giovanni Savarino, 96 anni, lo ricorda precisamente ancora adesso.
Era ragazzo, aveva cominciato presto a lavorare in campagna con il padre Giuseppe ed era con lui anche quando, intenti nello scasso della vigna di località Lunero, videro spuntare grandi ossa. A poco a poco lo scavo restituì il cranio, le vertebre, le coste e poi tutto il resto, persino i denti. “Avevamo scavato non più di cinquanta centimetri di terra e ci eravamo trovati davanti a uno scheletro lungo più di un metro e mezzo: una sorpresa” racconta Savarino.
La scoperta eccezionale però non impressionò poi tanto. Un po’ di curiosità sì, ma poi soprattutto la necessità di proseguire nei lavori in vigna e così le ossa furono trasportate nel casot per il ricovero degli attrezzi agricoli e lì rimasero per vent’anni. Se si chiesero a chi appartenessero le ossa lo fecero per poco tempo e, se cercarono, non trovarono nessuno che potesse spiegarlo. Semplicemente: il Mare Padano era passato di lì tantissimo tempo prima e aveva lasciato un ricordo.
Intanto negli stessi anni Quaranta due sorelle del paese, Albertina (Bertina) e Vittoria Signorio si congedarono dalla loro numerosa famiglia per andare a fare le servente a Londra nella casa di un’attrice conosciuta a Torino. Vissero lì per sempre, ma con il cuore impigliato a Pino, ragione per cui intrattennero con famigliari e amiche una fitta corrispondenza. Alla mamma di Giovanni Savarino, Adelaide, Bertina scriveva i ricordi dell’infanzia: “Anni fa in inverno la neve era alta e si doveva fare una passeggiata intorno alla casa in cerca della porta della camera da letto; vi erano tutti i candlòt di ghiaccio che ci davano sul naso”.
Vittoria nelle sue vacanze a Pino impressionò le donne vestite di nero con le sue unghie smaltate di rosso, lo stesso colore degli abiti che la facevano apparire troppo moderna su quei bricchi. Si diceva che fosse una masca, che sapesse leggere il futuro. Ad Adelaide predisse che sarebbe diventata centenaria e lei arrivò senza grossi affanni ai 102 anni.
In un soggiorno degli anni Sessanta a Pino, frequentando la famiglia Savarino Vittoria apprese la storia dell’animale scoperto nel vigneto e stazionante da tempo nel casot. Si stupì davanti alle ossa e ne prese un paio da portare a Londra per cercare di farle riconoscere. Le sue conoscenze si rivelarono all’altezza. Poco più tardi arrivò il responso e Vittoria poté annunciare ad Adelaide: “Avevate un delfino nella vigna“. Il che non cambiò il corso delle cose perché lo scheletro scomposto continuò a restare nel casot e forse anche a dare fastidio rubando spazio: a un certo punto le ossa sparirono, finite chissà dove, e nessuno che ne abbia ricordo.
Negli anni Settanta un bambino che si chiamava Giorgio Ferrero, e che da grande avrebbe fatto vini da uve coltivate sulla terra dei fossili, nelle ore di lezione sarebbe andato con la maestra e i compagni a cercare conchiglie nei boschi di Muscandia, dove ancora oggi gli affioramenti racchiudono coralli. Sabbie gialle verso Mondonio, argilla blu verso Albugnano: la storia del territorio si legge con chiarezza e i cercatori di fossili non sono mai mancati, racconta Ferrero. Quelli che arrivavano da Casale, ancora negli anni Ottanta, cercavano una conchiglia dalla forma affusolata (Mitra scobriculata): scavavano di fronte al cimitero, dove riposano le ceneri di Bertina e Vittoria, e anche nei terreni di Ferrero, col suo permesso. Ogni volta portavano via i lunghi gusci attorcigliati lasciando, per ringraziare, una scatola di krumiri.