Usciamo un po’ dal museo, facciamo un giro, andiamo a scoprire qualcosa che non abbiamo ancora visto di questo territorio così ricco dal punto di vista geo-paleontologico.
Eccoci a Villadeati, nel Monferrato Casalese, a due passi dalle nostre parti.
Siamo in regione Campasso, sulla strada per Odalengo Piccolo, davanti a un affioramento con un fronte lungo un centinaio di metri di roccia bianca, leggera, porosa e friabile: nientemeno che la formazione di spessi strati di ceneri vulcaniche, dette cineriti, derivanti dall’eruzione di Mortara. In un periodo tra i 25 e i 15 milioni di anni il vulcano eruttò e le ceneri, trasportate dal vento, ricaddero anche qui (oggi siamo a una sessantina di chilometri dalla cittadina lombarda). Tutto questo successe nello stesso tempo in cui nuotavano nel Mare Padano i delfini di Rosignano e la balena di Moleto.
Di per sé la conservazione delle cineriti è un fenomeno raro e la loro presenza a Villadeati, in grande estensione e strati di spessore davvero significativo, acquista un valore storico e ambientale che merita di essere valorizzato.
Ancora prima dell’eruzione di Mortara, intorno ai 28 milioni di anni, il fondale marino fu scosso da potenti fuoriuscite di metano: è conservato in Municipio un pezzo di calcare che rappresenta la conseguenza di quel fenomeno. Allora il Pliocene, l’età dei capodogli, delfini, dugonghi e balene astigiani, doveva ancora arrivare.
Circondato dalla robinia, l’affioramento di cineriti, ricche di vetro, è ciò che resta di una cava da cui venivano estratti materiali per la produzione di prodotti abrasivi. Villadeati ha una lunga tradizione nell’attività di estrazione, iniziata già nel Cinquecento e terminata nel secolo scorso. La storia della terra racconta qui che dai giacimenti naturali si otteneva anche l’arenaria grigia utilizzata a scopi architettonici: lunette, colonne, lesene per ornare chiese, come il Duomo di Alba o la Basilica di Santo Spirito a Firenze, e palazzi nobiliari. Altre cave hanno per lungo tempo fornito pietrisco per costruire strade.
Se volete un’altra storia originale dobbiamo spostarci nel bosco che conserva la Fontana delle sette gocce, parte integrante di un percorso a piedi ad anello, lungo sei chilometri, che porta alla scoperta di cinque punti d’acqua utilizzati un tempo per scopi agricoli. La parete di roccia, che comprende anche una piccola grotta nata da fenomeni di erosione carsica, è il risultato dell’accumulo di detriti (come sabbie e ghiaie) scaricati dai ruscelli, durante le alluvioni, nel Mare Padano. Ecco un altro segno tangibile del tempo antico che possiamo continuare a raccontare.
Nel bosco crescono castagni, ornielli (un tempo immergendo pezzi di corteccia nell’acqua della fontana si otteneva l’acqua blu usata come disinfettante per gli animali da cortile), carpini, querce e felci perenni, con strepitose presenze di capelvenere.